LE LOTTE CONTADINE E LA RIFORMA AGRARIA

di Felice Gentile


 La seconda guerra mondiale aveva aggravate le condizione economiche dell’Italia: L’economia nazionale era legata all’agricoltura. La forbice tra gli agrari ed i contadini senza terre si era ulteriormente  divaricata.  Le parole  che  Ignazio Silone in Fontamara  faceva pronunciare dai braccianti agricoli della Marsica erano  quanto mai attuali:
 “In capo a tutti c’è Dio, padrone del capo a tutti cielo  Ognun lo sa . Poi viene il Principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle  guardie del principe. Poi nulla. Poi ancora nulla. Poi ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire che è finito tutto”
Da queste frasi  si evince  che il bisogno di giustizia è parte integrante della vita dei Cafoni ed allo stesso  modo e parte integrale  la speranza  che il regno delle  necessità  abbia un giorno fine.
Sulla base di questo bisogno e di questa speranza  i contadini trovano la solidarietà  di ampia parte delle popolazioni   al di fuori di ogni ideologia e partito politico.
Agli inizi degli anni cinquanta le difficili condizioni di vita  di intere fasce della popolazione cominciarono a dar luogo  a crescenti forme di insubordinazione sociale.
I braccianti agricoli, gli affittuari chiedevano che gli fossero assegnate  le terre che gli agrari non coltivavano o coltivavano male.
Le lotte dei contadini  furono condotte dal sindacato, dai partiti politici  e da una parte consistente dei parroci in Abruzzo ( in particolare nel Fucino), ma anche  in tutte le  Regioni italiane  a forte
Tradizione agricola.
I contadini senza terra erano consci che l’astensione dal lavoro  produceva  danni non solo ai  padroni, ma anche e soprattutto alla  propria capacità di sussistenza.  Era necessario manifestare in periodi  nei quali il danno alla produzione  era minimo.
In Abruzzo si  inventò un metodo  nuovo:  lo sciopero alla rovescio.
Il principe Torlonia e i proprietari terrieri delle provincie di Chieti e Teramo trascuravono  di effettuare dell’opere  che avrebbero migliorate  la produttività dei loro fondi.
Per esempio Torlonia  non faceva opera di manutenzione dei canali irrigui  del Fucino:  Di  questi  lavori cominciarono ad occuparsi  i braccianti agricoli  ( I Cafoni), i quali a fine giornata si presentavano ai Palazzi municipali o alle caserme dei  carabinieri per farsi segnare le ore di lavoro.
I padroni in qualche modo avrebbero pagato.Lo sciopero iniziò il sei di febbraio nella strada 30 del Fucino, era il sesto anniversario dell’uccisione da parte delle guardie del feudo di Domenico Spera, bracciante di Ortucchiio.
  Il   13 e 14 febbraio del  1950  a L’Aquila i sindacati e l’associazione padronali  si incontrarono in Prefettura  e con l’assistenza e la mediazione del Prefetto raggiunsero un accordo.
L’accordo si  sostanziava in tre punti:
A) I lavoratori sarebbero stati pagati per i lavoratori già eseguiti;
B) Torlonia si sarebbe impegnato ad assumere, per proseguire i lavori e per sei giorni, tutti i braccianti;
C) Lo Stato avrebbe ritirato i Carabinieri dal Fucino.
Nei giorni  successivi  Torlonia  fece marcia indietro e non ottemperò agli accordi  sottoscritti.  I lavoratori scesero in piazza in tutti comuni della Marsica: Nei cortei erano massicciamente rappresentate  le donne, le quali avevano formato la  Lega delle Donne  Marsicane. Nell’adunate era presente  la Pupazza , che veniva incendiata al culmine della manifestazione   come avviene  nelle feste popolari.
Il Governo, ( ministro degli interni era il deputato siciliano Mario Scelba) da una  parte   fronteggiò in maniera forte i contadini con carabinieri e poliziotti, d’altra parte permise  l’intrusione  di  uomini
vicini ai padroni in contrapposizione dei dimostranti.
Nei scontri vi furono numerosi morti in tutte le regioni del mezzogiorno. Per quanto riguarda l’Abruzzo il  21 marzo furono uccisi a Lentella  (Ch) i contadini  Nicolantonio Mattia e Cosimo Masciocco.
Il giorno successivo l CGIL indisse lo sciopero generale di protesta per i morti di Lentella  ed nella manifestazione di Avezzano venne  ucciso  Francesco Laboni.
A Celano  il 30 aprile del 1950,  in quella che forse fu la più grande manifestazione popolare dell’era preindustriale in Abruzzo,  furono uccisi  i   Cafoni  Agostino Paris ed Antonio  Berardicurti e l’attivista comunista  Antonio  D’Alessandro.
Naturalmente le lotte contadine  ebbero vasta eco nel Paese e dei violenti riscontri in Parlamento.
Nella seduta del  2 aprile della Camera dei Deputati  gli onn.  Di Vittorio,  Calamandrei ; Nenni contrastarono duramente  il ministro Scelba e tacciarono i provvedimenti presi come anticostituzionali.
Dobbiamo, però, affermare  che anche gran parte della Democrazia Cristiana, forse a rimorchio delle gerarchie ecclesiastiche del Meridione d’Italia  e soprattutto dei Cattolici del Veneto,  prese coscienza  dei gravi problemi delle masse contadine.
Partendo dal riconoscimento delle necessità  di una larga parte della popolazione nella D.C  iniziò un importante discussione.
Intervennero  in diverso modo ed in tempi diversi uomini di primo piano del partito come : La Pira, Lazzati, Bertini, Medici e Fanfani.
Decisiva fu la posizione del ministro dell’Agricoltura on. Antonio Segni
Il 10 OTTOBRE 1950 i contadini senza terra riuscirono a cantare vittoria.  Infatti  il Consiglio  dei Ministri presieduto da Alcide  de Gasperi  approvò il decreto  con il quale si dava attuazione alla Riforma agraria. Il Governo, però, non volle fare una riforma generalizzata, fece delle leggi che intervenivano a livello locale.
Il Fucino fu compreso nel decreto stralcio del 1 marzo del  1951 con il quale fu creato l’Ente per la riforma della Maremma e del Fucino. L’Ente tra gli altri compiti ebbe  quello di determinare i lotti da affittare. Un lotto grande poteva essere massimo di quattro ettari, mentre il più piccolo non doveva essere inferiore ad un ettaro. La determinazione di lotti minimi era dettato dai tassi oggettivi di redditività dell’azienda agricola che sul lotto  andava  ad impiantarsi.
In considerazione  della grandezza  democrafica della popolazione bracciantile,  a molti lavoratori non fu consentito  l’accesso al fitto di un fondo, per questi furono costretti ad emigrare in Maremma.
L’Ente  doveva occuparsi della manutenzione ordinaria e straordinaria dei canali, delle strade interpoderali e di costruire u villaggio  o colonia agricola in località Caruscino.
La legge di riforma agraria fu avversata  dagli agrari, da un certo numero di uomini politici locali
a essi legati e da  parlamentari di destra: monarchici, missini, liberali, democristiani.
Tra  questi c’era il parlamentare  di L’Aquila on: Vincenzo Rivera.  Questi di professione era agronomo ed apparteneva alla nobiltà  terriera,  Aveva la capacità tecnico-professionale  per  esprimere un parere autorevole, parere che, però, poteva essere influenzato  dai propri interessi..
L’on  Rivera non si limitò ad esprimere  un voto contrario, richiamandosi alla conclamata libertà di coscienza  (diritto che rivendicò con una lettera a De Gasperi), ma presentò una riforma agraria alternativa. Egli aveva  il chiaro intento di  distrarre l’attenzione dal progetto del ministro Segni .
Nel  mirino della destra vi erano i contratti agrari, che avrebbero cambiato nei decenni successivi
il panorama agrario italiano.

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